tratto da Alti fermenti Letterari  

edizione Gribaudo

 

 

IL SIG. K. 

di Luigi D'Amelio

 

1

 Il sig. K. era considerato il massimo esperto italiano di birra.

Le sue conoscenze, accumulate in anni di studi e di viaggi, rasentavano l’enciclopedismo della materia e spesso stupivano non solo chi lo ascoltava ma addirittura se stesso.

Negli ultimi tempi, visto che non aveva più molto da imparare, aveva rivolto il suo interesse soprattutto all’affinamento della tecnica degustativa.

Aveva dunque creato un nuovo approccio alla degustazione che fino ad allora era stata solamente una mera descrizione tecnica e che lui aveva trasformato in una sorta di esperienza psicodinamica in cui il dato descrittivo si confondeva con sensazioni ricercate negli archetipi dell’inconscio collettivo.

Tutto ciò lo aveva portato ad essere un punto di riferimento per chiunque gravitasse intorno a questa bevanda per qualsiasi motivo.

Industriali, commercianti, piccoli produttori, degustatori in erba, produttori casalinghi, alcolisti, donne, uomini, infanti, circondavano abitualmente la sua vita spesso in maniera questuante.

Per questa ed altre ragione aveva dunque deciso, per quelli che considerava gli ultimi anni della sua vita (aveva quarantotto anni), di ritirarsi in una sorta di ascetismo nel quale sarebbero entrati solo i suoi libri e il suo magico liquido spumeggiante.

La scelta del luogo era stata una parte lunga e difficile per questo distacco dalla società, ma alla fine la sua preferenza era andata ad un posto vicino al mare perché questo alleviava il senso di claustrofobia che lo attanagliava le volte che pensava alla sua vita trascorsa.

Questo era il sig. K.

Era perché quello che rimane del sig. K. è  qui davanti a me.

Il pergolato, a quest’ora di un tardo pomeriggio già autunnale,  più che filtrare i raggi del sole incupisce e rabbuia la scena.

Il grande tavolaccio di legno, sul quale il sig. K. pare dormire, mostra tutti i segni degli anni nelle sue gambe malferme.

Le sedie di paglia probabilmente sono arrivate su questo terrazzo insieme al tavolo, ma in alcune parti non hanno avuto la stessa resistenza.

Se non si trattasse del mio lavoro, rimarrei per alcuni minuti ad osservare questo quadro che mi sembra dipinto da Bruegel il Vecchio.

Di fronte al sig. K. sono allineate delle bottiglie di birra, alcune con etichetta, una senza.

Prendo nota delle etichette: Gulpener Mestreechs Aait, Super Le Baladin, Boskeun.

E’ fondamentale all’inizio di un’indagine importante, come quella di un probabile omicidio, essere metodici, curiosi e non tralasciare nessun dettaglio.

Annoto dunque anche la forma della bottiglia non provvista di etichetta: mi ricorda una vecchia bottiglia di spumante un po’ panciuta.

Anche i bicchieri mi incuriosiscono.

Le loro fogge sembrano provenire dal passato e in maniera poco ortodossa fanno il verso alle forme del mitico Graal.

Ecco il primo indizio: i bicchieri sono cinque.

E’ fin troppo facile supporre la presenza di un’altra persona a quest’ ultima degustazione del sig. K.

Una supposizione che potrebbe anche rivelarsi errata, visto che il perfezionismo del sig. K potrebbe averlo portato a sostituire un bicchiere che forse conservava degli odori non totalmente puliti.

Questo almeno mi suggerisce il mio assistente S. : - “Capo, ho conosciuto il sig. K. ad una serata che aveva tenuto tre anni fa, quella volta per bere una birra si era fatto cambiare tre bicchieri!”

I risvolti caratteriali del sig. K cominciano a delinearsi in maniera sempre più definita mettendomi di fronte ad un caso che potrebbe rivelarsi sfuggente come questi.

Ho bisogno di molte più informazioni sul mondo del sig. K, devo leggere libri, riviste, conoscere gente, e, se necessario, nonostante la mia idiosincrasia per la bevanda, bere persino le birre amate dal sig. K, comprese quelle che lo hanno accompagnato come messaggero di Cerere verso il regno di Ade.

 

2.

Credo che la conoscenza sia l’acquisizione di nozioni che la nostra mente si dimentica di aver immagazzinato.

Questo è possibile solo quando tali nozioni sono assimilate a tal punto da sembrare parte del corredo genetico di un uomo.

Provate a chiedere ad uno sportivo il momento esatto in cui  ha appreso un gesto atletico, magari ad un tennista quando si è reso conto di riuscire ad imprimere alla pallina un particolare effetto: vi risponderà che lo ha sempre fatto.

E’ per questo motivo che mi sono sempre opposto, prima di tutto con me stesso, all’uso di strumenti come Internet per le mie ricerche.

Avere a disposizione in casa, in una specie di televisore, tutto lo scibile umano in qualche modo mi spaventa. Produrrà nella nostra società lo stesso effetto che ha provocato in me l’uso della calcolatrice tascabile. A circa dieci anni di distanza dall’acquisto del primo rudimentale esemplare, mi rendo conto di avere dimenticato le tabelline, così faticosamente memorizzate negli anni della scuola elementare.

Quelle che erano declamate, “cantate”, come una sorta di poema futurista ora si sono trasformate in un balbettio senza senso…

A cosa serve leggere l’Inferno di Dante, quando con un veloce spostamento del mouse abbiamo a disposizione dieci esegesi del canto?

Questi erano i miei pensieri mentre percorrevo la strada verso la biblioteca che era la base per l’inizio di molte indagini.

Qui avrei trovato tutti gli strumenti necessari all’identificazione di quel sottile filo che, a prima vista invisibile, porta chi lo sa seguire alla scoperta della verità.

Cominciano a scorrermi davanti agli occhi decine di immagini, su riviste patinate e su bollettini sgualciti.

Il sig. K. sembrava aver visitato ogni angolo del globo in cui si producesse qualcosa che poteva assomigliare alla birra.

Eccolo accovacciato nella savana, mentre degusta una bevanda di miglio fermentato in compagnia di due indigeni.

Sembra in difficoltà, mentre, con due signori in kilt e faccia rubizza contornata da imponenti favoriti, è alle prese con un gigantesco boccale di peltro.

Noto che le foto, nelle quali traspare netta e solare la sua felicità, lo ritraggono in quella che lui considerava la sua patria d’elezione: il Belgio.

Sembra un bambino che  riceve il suo primo gelato mentre afferra il calice di Chimay che un monaco gli porge.

Potrebbe essere confuso con un premio Nobel per la chimica, mentre accigliato studia al microscopio una coltura di lieviti di fronte a grandi vasche di fermentazione a cielo aperto di Lambic.

Comincio a leggere anche qualche passo scritto dal sig. K..

Non aveva un carattere facile. I suoi scritti spesso possono essere definiti come invettive.

Traspariva la sua grande passione per la birra, che lo portava a non sapersi controllare quando aveva a che fare con chi considerava solo rozzi mercanti senza cultura.

Considerava un grave delitto l’acquisizione di marchi storici da parte di grandi multinazionali, che, a dispetto del mercato, continuavano a produrre per il consumatore moderno birra di stile ormai desueto.

Non poteva darsi pace di fronte alla possibilità che in futuro non sarebbero stati più prodotti nettari che rispondono ai nomi di Gueuze, Summer ale, Faro, Imperial Stout, Rauchbier, e molte altre ancora, solo perché nessuno le aveva fatte conoscere a sufficienza ed aveva proposto all’ignaro bevitore unicamente porcherie come le Ice Beers.

Ciò che era partito come hobby, e che si era trasformato nel tempo nel suo lavoro, era diventata una sorta di missione con le sue regole, i suoi sacrifici e forse alla fine il suo martire.

                              3.

In molti dunque potevano aver desiderato la morte del Sig. K..

In passato qualcuno aveva cercato anche di realizzare tali desideri.

Una volta era rimasto bloccato, sembrava in un primo momento in maniera casuale, nell’angusta sala di fermentazione di un microbirrificio che si poteva affermare, eufemisticamente, avesse screditato con le sue taglienti recensioni.

I vapori di anidride carbonica provocati dall’alta fermentazione avevano portato il sig. K. alla perdita di conoscenza. Era stato salvato in extremis dall’arrivo casuale di un fornitore di coni di luppolo.

Il mio collega, che si era occupato del caso all’epoca, alla fine era riuscito a mettere alle strette il mastro birraio, che aveva poi confessato il tentato omicidio.

Le birre prodotte dal delinquente, nonostante a volte non raggiungessero la potabilità, erano però considerate alla stregua di proprie creature dal loro artefice, che alla fine non aveva più sopportato i giudizi sempre più negativi del “maestro degustatore”.

Solo questo era il movente.

Non potevano esserlo, ad esempio, i presunti danni economici provocati dai giudizi del sig. K..

Infatti il locale annesso al birrificio, nonostante la qualità dell’offerta, veleggiava sempre di più verso un successo che ormai, anche per moda, arrideva a tutti gli imprenditori di birra artigianale.

Questo fatto, per il sig. K., era la conferma che il consumatore medio avesse un grande bisogno di essere guidato ed educato verso una scelta più consapevole.

Naturalmente, questo episodio non lo aveva fatto arretrare di un millimetro nel suo ruolo di hezbollah del malto.

Già in ospedale aveva improvvisato un corso di degustazione con gli infermieri che, visto l’andirivieni di personalità e di cesti ricolmi di bottiglie, avevano presto scoperto che il personaggio barbuto cui prestavano le cure era colui che sospettavano fosse.

L’iniziale sospetto era divenuto certezza quando uno di loro era stato pesantemente redarguito dal Sig. K., che lo aveva sorpreso in un momento di pausa accompagnare il suo panino con una lattina di birra di un discount tedesco.

Grande era stata la soddisfazione del sig. K. quando, dopo un mese di corso e di camera iperbarica, passando a salutare i paramedici in sala mensa, aveva notato che sui tavoli facevano bella mostra Traquair House ale, Rodenbach Grand Cru e Aventinus Doppelbock.

La disavventura gli aveva fatto decidere di essere più stanziale e, nei rari spostamenti, di farsi accompagnare da un suo fedele discepolo, assunto al ruolo di autista e guardia del corpo.

Diventava quindi più vulnerabile quando era da solo nella sua casa sul mare e questi non era presente.

4.

In mancanza di indizi e di indiziati, o in presenza, come in questo caso, di un numero illimitato di questi, l’unico modo di trovare il bandolo della matassa è ricominciare tutto daccapo, affidandosi anche alle tecnologie che gli esperti della scientifica hanno a disposizione.

Vado a riesaminare nel deposito prove gli oggetti trovati intorno al Sig. K..

I sacchi trasparenti  che contengono le bottiglie sono allineati ordinatamente sugli scaffali.

La mia attenzione cade su un piccolo contenitore in plexiglas che giace seminascosto e che contiene i tappi delle bottiglie bevute quel tragico pomeriggio.

Uno di questi é verniciato di nero ed un altro riporta, scritte a mano, forse con un pennarello indelebile, le lettere MS.

Si tratta sicuramente della capsula della bottiglia senza etichetta, forse l’unica maniera per identificarne il contenuto.

Questo particolare, che mi era sfuggito al primo esame della scena del delitto, mi sembra di rilevante importanza.

Il mio assistente S. mi mette ancora una volta sulla buona strada: -“Capo, questo modo di contrassegnare le bottiglie é tipico di chi si produce la birra in casa. Anch’io da poco sono diventato un homebrewer!”

MS. Cosa possono significare queste due lettere messe su un tappo di birra casalinga?

Chiedo lumi a S., che ormai é divenuto il mio consulente ufficiale…

-“Non so Capo…Potrebbe essere il riferimento ad uno stile birrario, ad un colore, o ancora le iniziali di una birra famosa che l’hobbysta ha cercato di riprodurre…”

Gli chiedo di studiare l’enigmatica sigla a fondo, ma ormai sono sicuro di aver trovato la chiave di una possibile soluzione.

Il sig. K. potrebbe essere stato ucciso da un “homebrewer”.

Immagino gli aspetti caratteriali i risvolti psicologici in un personaggio simile: ha le stesse caratteristiche del mastro birraio che aveva tentato di eliminare il sig. K., ma un attaccamento verso i suoi prodotti inversamente proporzionale alle quantità prodotte.

Se un professionista faceva fatica ad accettare le taglienti recensioni del sig. K., immagino cosa può essere successo nella testa di un  appassionato, messo di fronte al fallimento di quella che poteva essere diventata una ragione di vita.

5.

La conferma dei miei sospetti e teorie arriva puntuale dal laboratorio di analisi.

Hanno esaminato i residui di liquido contenuto nelle bottiglie e nei bicchieri.

Le birre possono essere aromatizzare con molte erbe e spezie: ho letto di coriandolo, chiodi di garofano, artemisia, erica, radici di liquirizia e altro.

Questa conteneva però un erba officinale che mai era stata usata in precedenza: cicuta!

Il sig. K. era stato avvelenato e questo sarà sicuramente confermato dall’autopsia.

Resta da scoprire da chi.

S. mi mette sulla strada giusta: -“Capo, le racconterò un aneddoto divertente. In Belgio la passione per la birra é superiore a quella dei brasiliani per il carnevale e degli italiani per il calcio…

Nel centro di Bruxelles esisteva un piccolo bar dove gli impiegati della Banca Nazionale si trovavano a bere e a giocare a dadi.

Essendo molto appassionati, come dicevo, coltivavano questi loro passatempi anche durante l’orario di lavoro.

Capitava però che il capoufficio gli cercasse o che, per qualche ragione, dovessero riprendere repentinamente le mansioni per le quali percepivano uno stipendio.

Annunciavano agli altri compagni di gioco il loro temporaneo tradimento dichiarando: “Mort Subite!”.

Il gioco e le libagioni, infatti, continuavano, tranquillamente, “con il morto”.

Questa usanza aveva portato a chiamare il locale, e la birra che in esso si produceva, con questa esclamazione.

La birra in questione, ormai a livello quasi industriale, é ancora prodotta e porta anche oggi lo stesso nome :”Mort Subite”.

Credo che il tappo della bottiglia facesse riferimento a questa. Forse era un tentativo di clonazione di un tale classico birrario, soprannominata, nonostante i suoi cinque gradi alcolici, la birra assassina.”

Bravissimo S.! Era proprio così.

L’assassino, C., era un appassionato di birre belghe.

Il carteggio epistolario, trovato in casa del sig. K., testimoniava i suoi maldestri tentativi di riprodurre queste birre in maniera casalinga.

Si era però spinto in un terreno troppo ostico per la sua limitata abilità.

Aveva insistito affinché il maggior esperto del Belgio birrario assaggiasse le sue creature.

I risultati erano stati facilmente pronosticabili: clone Orval, stroncata, clone Chimay, stroncata, clone Duvel, stroncata, clone Chantillon (Rosé de Gambrinus), distrutta da un sig. K.  irritato e sadico.

L’ultima lettera, datata due giorni prima dello omicidio, preannunciava l’invio di un nuovo tentativo di avvicinarsi ad una birra belga: la Mort Subite.

Forse la scelta avrebbe dovuto insospettire il sig. K.

I Belgi hanno un detto illuminante in proposito: “De bière à bière”, “Dalla birra alla bara”.

A la santé sig. K.!

  

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