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www.aaroi.it/aaroi2/rivista/n01_02-3/01_02-3_16_birra.html
Una bevanda che agli italiani piace sempre di più
Pensando alla birra, spesso ci si immagina un boccale che trabocca schiuma sui tavolacci di legno dell’Oktober Fest, o una pinta di "scura" nella penombra di un pub irlandese.
E probabilmente non si pensa che questa gustosa bevanda ha un passato risalente addirittura ad alcuni millenni fa. Secondo gli storici, infatti, i primi a berla furono nientemeno che gli Assiri e i Babilonesi, i quali la producevano dalla fermentazione spontanea dei cereali mescolati con l’acqua. Successivamente i faraoni egizi, molto più evoluti, adottarono il sistema di far germinare i cereali trasformandoli in malto.
Nel Medioevo, invece, furono i monaci a dedicarsi alla produzione della birra, per consumarla direttamente o per offrirla ai pellegrini che ospitavano nei loro conventi.
Solo duecento anni fa si iniziò a parlare di veri e propri procedimenti industriali: quando, cioè, le conquiste tecnologiche del mondo moderno resero più efficaci i processi naturali di trasformazione. In realtà, dal tempo degli Assiri a oggi, la sostanza non è poi così cambiata: la birra, infatti, si continua a produrre mescolando acqua, cereali (soprattutto orzo, ma anche avena, frumento, mais o riso e miglio, come nei Paesi asiatici) e lievito, con l’aggiunta di aromi come il luppolo (una pianta rampicante della famiglia delle Orticacee che produce fiori aromatici). Gli ingredienti sono quasi gli stessi del pane, tant’è vero che, nell’antichità, la birra veniva anche chiamata "pane liquido": per l’affinità con i metodi di preparazione di quest’ultimo e perché si produceva e consumava anche nelle case più povere. Per fare la birra bisogna, prima di tutto, mettere la miscela di cereali nell’acqua a germinare: questa operazione è importante per la formazione di un enzima che trasforma l’amido dei chicchi in maltosio, uno zucchero fermentabile. Nel corso della fermentazione il maltosio diventa alcol, anidride carbonica e sostanze aromatiche. La miscela di cereali germinati, definita in modo generico "malto", passa poi alla fase della tostatura, la cui temperatura determina il colore e il sapore della birra: quanto più è alta, tanto più la bevanda diventerà scura e dal gusto intenso.
Al termine di questo processo la birra viene filtrata perché non appaia torbida, prima di essere infustata o imbottigliata per la vendita. Ogni Paese ha la propria birra e, a dar retta agli esperti, è meglio scegliere quella locale invece di quelle estere, perché i lunghi viaggi e gli sbalzi di temperatura rischiano di alterare le caratteristiche anche dei prodotti migliori. A berla sono soprattutto i giovani, e una ricerca condotta in Italia qualche tempo fa testimoniava che i consumi sono in costante aumento e che, nel nostro Paese, esistono più di trenta fabbriche di birra dalle dimensioni spesso imponenti. Accanto alle aziende tradizionali, spesso con una lunghissima esperienza, da circa tre anni si sta via via diffondendo la produzione di birra artigianale, che viene realizzata in piccoli laboratori (in inglese li chiamano microbreweries o micropub) e poi venduta in locali annessi all’area di fabbricazione.
"Nei "microbirrifici" (traduzione italiana di microbreweries) la produzione è ridotta e, quindi, non dà fastidio alle grandi aziende", sottolinea Guido Taraschi, che ha fondato a Cremona la Centrale della Birra e presiede l’Unionbirrai, associazione che tiene in collegamento buona parte di queste realtà. "Ma la birra artigianale, rispetto a quella industriale, non è pastorizzata né filtrata e ha un gusto di malto e un aroma di luppolo più spiccati, una schiuma persistente ed è più pastosa". Un sapore diverso, quindi, da godersi in luoghi particolari, i microbirrifici appunto, spesso ricavati da strutture industriali abbandonate, ristrutturate e arredate in modo essenziale, o anche in masi di montagna con mobili originali che hanno poco a che vedere con i pub "stile inglese", ormai diffusi in tutte le città. Fino a tre anni fa si contavano sulle dita di una mano, oggi sono più di trenta e paiono destinati ad aumentare. E anche negli Stati Uniti il fenomeno delle microbreweris è in costante ascesa: molti americani hanno cominciato fabbricandosi la birra in casa per offrirla agli amici e, poi, hanno trasformato questo hobby in un mestiere. Più o meno lo stesso percorso seguito da alcuni microbirrifici italiani. E anche nel nostro Paese si sta facendo strada l’abitudine di produrre la birra in casa. Riuscirci non è difficile: basta acquistare i kit con il materiale necessario.
"Stiamo registrando un incremento di interesse", spiega Flavia Nasini, del negozio specializzato A tutta birra di Milano.
"Noi vendiamo i kit a 100 mila lire, e i compratori sono in aumento. Spesso ci chiedono di assaggiare il loro prodotto e bisogna dire che la maggior parte delle bevande ha un gusto più che accettabile".
I negozi che in Italia vendono kit di questo genere sono parecchi e le aziende che li producono su scala industriale sono soprattutto quattro: la P.A.B. di Udine, la Larix di Parma che commercializza materiali australiani, la Pinta di Marostica e la Ell & Eff di Fiè, vicino a Bolzano.
"L’idea ci è venuta nel 1991, dopo un’esperienza di lavoro in Australia dove l’homebrewing – cioè far la birra in casa – è comune", spiega Elio Zanier, della P.A.B.
"All’inizio siamo stati accolti con freddezza; ora, invece, l’interesse è in crescita e questo ci ha spinto ad aumentare i tipi di malto che mettiamo a disposizione degli appassionati".
I kit costano tra le 100 e le 150 mila lire e sono composti da fermentatori completi di rubinetto, termometro, gorgogliatore, densimetro, cilindro per test, un malto di prova e un libretto di istruzioni molto semplice. I materiali sono in plastica, ma la Ell & Eff propone una minibirreria da casa in acciaio, che non ha niente da invidiare a quelle vere. In genere, un kit consente di produrre in sei ore, a casa propria, dai 23 ai 50 litri di birra. "Per fare la birra in casa, in fondo, bastano solo 4 metri quadrati di spazio, pentoloni capienti e un pò di costanza", dice ancora Guido Taraschi.
Intanto, il nutrito plotone di "mastri birrai" si scambia opinioni su internet, dove le aziende hanno siti con cataloghi e indirizzi per le prenotazioni. Chi intende occuparsi delle "bionde" per mestiere, invece, deve avere una formazione accurata, come quella proposta all’Accademia della Birra di Parma, dove si insegnano i segreti della professione e si tengono corsi di degustazione.
Invece, l’Università della Birra, che si trova ad Azzate, in provincia di Varese, è specializzata nell’istruzione dei gestori dei pub , mentre la Unionbirrai promuove aggiornamenti full immersion per chi desidera allestire un microbirrificio.
La facoltà di Agraria
dell’Università di Udine, infine, ha tra i propri insegnamenti anche
un corso di tecnologia birraria. Homebrewers, produttori e gestori di
locali, si incontrano due volte l’anno: a Pianeta Birra, grande fiera
che si svolge a Rimini e a Birrissima, una convention che si svolge in
primavera. Due appuntamenti da non perdere per i più curiosi e per gli
appassionati.