a cura di
Lorenzo Dabove in arte Kuaska
Preistoria
La
birra non é stata mai inventata!
Quando scaviamo nella memoria dei nostri antenati alla ricerca della birra originale, noi non la troviamo. Indoviniamo piuttosto come si é sviluppata: un composto di grani d'orzo e d'acqua. Gli archeologi testimoniamo che il primo cereale coltivato é stato l'orzo, il più facile da coltivare, che ha contribuito a trasformare quei popoli da nomadi in stanziali e a formare i primi villaggi.
l’orzo è stato il primo cereale coltivato dall’uomo
Piano
piano le tecniche agrarie si perfezionarono e portarono alla produzione di un
"surplus" che occorreva "immagazzinare".Si presentarono
allora delle difficoltà per proteggere le riserve dai vermi e dai roditori.
Essendo la necessità madre di tutte le invenzioni, la donna inventa una tecnica
originale di conservazione cioè mantenere i grani in recipienti riempiti
d'acqua che poi grazie ai lieviti
selvaggi mettono in atto una fermentazione: la
birra comincia così a delinearsi.
Quando
si nutre di questo "intruglio", l'uomo primitivo si sente rinvigorito
e soprattutto più felice: la durezza della vita gli appare più sopportabile e
vede in tutto questo un intervento divino.
Prime
testimonianze
guerriero sumero i Sumeri La
prima traccia inconfutabile dell'esistenza della birra ci viene da una tavoletta
di argilla dell'epoca predinastica sumera (circa 3.700 A.C.), il celebre "monumento
blu" che descrive i doni propiziatori offerti alla dea Nin-Harra:
capretti, miele e birra. Dai caratteri cuneiformi dei sumeri sappiamo inoltre
che le "case della birra" sono tenute da donne, che la birra d'orzo é
chiamata sikaru (pane liquido) mentre
quella di farro é detta kurunnu e
che altri tipi vengono ottenuti mescolando in proporzioni diverse le prime due.
Da ricordare almeno la niud addolcita
con zucchero di datteri e la bi-du,
la più "ordinaria" che serviva a calcolare il salario-base degli
operai (3 litri al giorno!).
codice di Hammourabi, Museo del
Louvre La
più antica legge che regolamenta la produzione e la vendita di birra é,
senz'alcun dubbio, il Codice di
Hammourabi (1728-1686 A.C.) che condannava a morte chi non rispettava i
criteri di fabbricazione indicati e chi apriva un locale di vendita senza
autorizzazione. gli Egizi Gli
Egizi attribuirono a Osiride, protettore dei morti, l'invenzione della birra ed
essendo stretto il legame tra birra e immortalità, i più ricchi si facevano
costruire delle birrerie in miniatura per le loro tombe. Ai Faraoni erano dovuti
come tasse dalle città, dai territori e dalle province, migliaia e migliaia di
vasi di birra e, come per i Sumeri, il salario minimo era liquido (due anfore di
birra al giorno).
papiro Ebers Birra
é sinonimo di vita e le sue virtù curative diventano famose: il "papiro
Ebers" ci offre 600 prescrizioni mediche per alleviare le sofferenze
dell'umanità il cui ingrediente principale é la birra. Le scuole superiori
insegnano la fabbricazione della birra prima della scrittura e della lettura. Si
stabilisce che la vendita della birra in cambio di oro e argento é proibita in
quanto il venditore può esigere solo orzo in quantità uguale alla birra
venduta, pena l'essere gettato nel fiume.
preparazione della “zythum” Gli
Egizi chiamarono la birra "zythum"
e i loro cugini d'oltre-mediterraneo, i greci se ne ispirarono per chiamarla
"zythos"e migliaia di anni
dopo gli studiosi utilizzano la radice greca per designare gli elementi della
fermentazione: zymotechnia (1762), zymotico (1855), ecc. La birra dell'epoca é
un alimento che immaginiamo piuttosto zuccherato, alquanto spesso e che sviluppa
un basso tenore alcolico.
La
saliva delle donne
mercato di Chinchero (Peru), donna beve birra fermentata dalla
saliva da masticazione dei grani La
donna scopre che la birra fermenta più rapidamente se mastica i grani, infatti
l'enzima della ptialina nella saliva trasforma l'amido in zuccheri adatti alla
fermentazione. Ai giorni nostri, in molte zone dell'America Latina, le donne che
masticano i grani e sputano nella marmitta, ripetono il più antico rituale di
birrificazione conosciuto sulla terra. L'impronta femminile sulla fabbricazione
della birra si protrae sino al Medio-Evo. Le leggi germaniche decretano che
spetta esclusivamente alla tenutaria la proprietà del materiale di brassaggio
che spesso fa parte della sua dote di matrimonio. In Gran Bretagna sono le
famose "Ale Wives" che preparano la nobile bevanda e il mestiere di
vendere la birra é largamente dominato dalle donne. i
Galli
guerrieri
Galli che trangugiano “cervogia”(da Asterix) I Galli migliorano
tre aspetti del fare la birra: utilizzano pietre riscaldate per la cottura,
inventano le botti per un più lungo periodo di conservazione (fino a otto mesi)
e inventano una famosa pozione magica mescolando ad una birra di frumento una
parte di idromele. Aromatizzano le loro birre con anice, assenzio e finocchio
mentre i Druidi preparano anch'essi un'infusione magica dai poteri curativi
impiegando un ingrediente segreto: la salvia. il
Medio-evo Nel
Medio-Evo la libertà di fare e vendere birra costituisce un privilegio che é
saldamente nelle mani delle Chiese e dei nobili che ovviamente
si arrogano il diritto di produrre e commerciare la birra. Solo quando
non sono in grado di far fronte alla crescente
domanda, concedono la licenza ai privati in cambio di tasse alquanto salate. Con
la nascita di sempre più potenti corporazioni di commercianti, la birra diventa
una delle principali forze economiche.
commercio
di birra via mare Nel
1376 ad Amburgo operano ben 457 birrai e si distinguono due differenti tipi di
birrerie: quelle gestite dai birrai "di mare" che esportano i loro
prodotti e quelli "di terra"che rispondono al mercato locale. il
gruyt I
Crociati contribuiscono all'incremento dell'utilizzo delle spezie che, portate
dalle spedizioni in Oriente, danno senza dubbio una birra di qualità superiore. L'insieme
di vari aromi, detto "gruyt"
da un termine sassone, può essere formato da un numero elevato di spezie:
ambra, lampone, pepe, finocchio, giusquiamo,
lavanda, anice, zafferano, cannella, genziana e chiodi di garofano. Molte città
episcopali stabiliscono , diremmo oggi "monopolisticamente", un "diritto
di gruyt", una vera e propria forma di tassazione che obbliga il
birraio ad acquistare una quantità di gruyt proporzionale alla quantità di
cereali impiegati. Con l'irresistibile ascesa del luppolo (XIII° secolo) il
gruyt viene relegato ai libri di storia. Tuttavia l'impiego di spezie non sparì
completamente ed ancora oggi molti birrai soprattutto del Belgio, ma anche
scozzesi e scandinavi, contribuiscono a mantenere questa tradizione che ha
portato, con l'avvento delle birre da degustazione, ad un crescente utilizzo
delle spezie. il
luppolo
antico
trattato
Suor Hildegard
L’utilizzo
del luppolo è antichissimo ma la pratica rigorosa di luppolare il mosto nasce
nel XIII° secolo. un grande
contributo viene dato dalle ricerche della clebre botanica Suor Hilgedard von Bingen (1098-1179) dell’Abbazia di St. Rupert
in Germania. Suor Hildegard mette in evidenza le qualità del luppolo per
arrestare la putrefazione ed allungare al vita alla birra. L’impiego del
luppolo si espande dapprima in Boemia e poi in tutta la Gemania e l’Olanda,
diventata il centro nevralgico del commercio internazionale. Qualche resistenza
si ha nei “tradizionalisti ad oltranza” inglesi che, nonostante
l’introduzione del luppolo da parte degli immigrati fiamminghi, lo accettano
pienamente solo alla fine del XVI° secolo.
Reinheitsgebot
( estratto dall’originale)
Nasce
nel 1516 il celeberrimo “Reinheitsgebot”
(l’editto della purezza), tuttora in vigore, che obbliga il birraio ad
utilizzare solo acqua, malto d’orzo e luppolo (e lievito, naturalmente). Una
curiosità: pochi sanno che in realtà Guglielmo
IV di Baviera emanò questo decreto (che doveva essere temporaneo) per
impedire, solo per quell’anno, l’impiego del frumento che aveva dovuto
patire un raccolto disastroso.
Verso
la fine del Medio-Evo, la produzione della birra era saldamente nelle mani della
classe media che forma potenti corporazioni. Per ottenere l’autorizzazione a
diventare birrai bisogna avere le “mani pulite”, non essere figli
illegittimi, non aver compiuto adulterio e per chi diluisce i prodotti con
l’acqua c’è la pena di morte!
i monaci
La
produzione di birra monastica debutta all’epoca carolingia.
Già nel 770 nell’Abbazia
di Gorze in Mosella, il mastro birraio opera per i suoi silenziosi fratelli.
I monaci perfezionano in modo significativo i metodi di brassaggio e diventano
fino al XII° secolo gli esclusivi detentori delle conoscenze e delle tecniche.
Nella famosa Abbazia di S.Gallo in
Svizzera, nascono le geniali tecniche che permettono di dividere la stessa
produzione in più mosti. Il primo mosto che si estrae, ricco di zuccheri e
destrine, dà una birra forte e prelibata. chiamata “prima
melior”.Il malto utilizzato trattiene tuttavia una forte proporzione di
zuccheri “imprigionati” che, con l’aggiunta di acqua seguita da una
filtrazione, permette di ottenere una birra meno ricca di zuccheri e destrine,
più leggera e di minor
valore (“da tavola”) chiamata “secunda”
per il consumo dei monaci che potevano (a seconda delle regole del singolo
monastero) berne dai 5 agli 8 litri al giorno! Un’ulteriore diluizione poteva
essere fatta per ottenere la cosiddetta “tertia”,
la birra offerta ai mendicanti.
monaci si godono la “secunda”
Dopo le note vicissitudini, i saccheggi ed espopri patiti con la Rivoluzione Francese e con Napoleone, i monasteri ritornano a produrre birra ma la maggior parte cessa l’attività all’inizio del XX° secolo (fanno eccezione i famosi “padri trappisti” tuttora attivi ed anzi sempre più agguerriti, anche a livello di “marketing”: chi non conosce il logo esagonale “authentic trappist product”?)
In
Inghilterra, Enrico VIII mise brutalmente fine alle attività brassicole dei
monasteri e a tutt’oggi non si segnalano oltremanica cenni di ripresa.
la Rivoluzione Industriale
Già prima delle
grandi invenzioni contribuirono a migliorare i procedimenti medievali: il termometro
inventato nel 1714 da Fahreinheit e
l’idrometro di M. Marin, datato 1768.
idrometro
cooler di Baudelot
Questi strumenti sono all’origine dei primi “quaderni di brassaggio” che permettono dii avere informazioni precise sulle diverse fasi: un esempio significativo può essere rappresentato dall’inoculazione del mosto il cui momento giusto veniva deciso immergendo la mano oppure quando si riusciva a vedere la propria immagine riflessa.
La
rivoluzione industriale e quella scientifica si affermano in Europa nel XIX°
secolo, sconvolgendo irrimediabilmente il mondo della birra, trasformato da due
fattori fondamentali: da una parte la meccanizzazione che permette di aumentare
il volume prodotto e dall’altra la possibilità di controllare rigorosamente
ogni tappa della produzione in modo scientifico. La prima macchina a vapore in campo birrario è attribuita a James
Watt che nel 1785 utilizza la nuova tecnologia per produrre una “porter”
a Londra. Daniel Wheeler fa brevettare una macchina per tostare il malto nel 1817
e apre la strada ai malti chiari e scuri, prima sconosciuti.
Jean-Louis Baudelot inventa
nel 1856 il “raffreddatore del mosto”
che permette di recuperare il mosto raffreddato e passare subito alla
fermentazione. La macchina per il ghiaccio
artificiale, inventata da Carrè
tre anni più tardi, esercita un impatto significativo per la birrificazione non
solo a livello del raffreddamento del mosto ma soprattutto per molte altre
operazioni come la bassa fermentazione e la possibilità di produrre lungo
l’intera annata.
la bottiglia di vetro
antiche bottiglie di vetro (da
sin. un’ italiana e tre americane)
E’ solo nel XVIII° secolo che si assiste a una vera e propria industria del vetro. Lo sviluppo della bottiglia di vetro si ha verso il 1880-1885 con l’invenzione della vetreria meccanica che coincide con l’avvento delle birre a bassa fermentazione. Il consumatore può ora ammirare il suo nettare e questo lo spinge a preferire birre sempre più chiare e dorate, il cui bellissimo aspetto viene esaltato dalla trasparenza del vetro.
la scoperta del lievito
Anton Dreher Gabriel Sedlmayr
Leuwenhoeck nel 1680 identifica il lievito di birra ma non è in grado di spiegarne nè la natura nè come agisce, cosa che riesce nel 1939 a Cagniard-Latour che attribuisce la fermentazione ad una cellula di lievito. La sua teoria, basata su una cellula invisibile, viene duramente contestata dagli scienziati dell’epoca ma già l’anno dopo Anton Dreher e Gabriel Sedlmayr identificano il lievito come l’ingrediente segreto che fa la gloria delle birre bavaresi. questo lievito, esportato in Boemia, fornisce l’occasione a Plzen nel 1842 di lanciare uno stile che sconvolge il mondo della birra.
portale della birreria
La Pilsner Urquell (cioè “fonte originale”) diventa il punto di riferimento di moltissime birrerie che si ispirano alla sua celebrata bionda per proporre nuovi prodotti ad un mercato sempre più crescente.
Louis Pasteur Emil Hansen
I
lavori di Pasteur sulla fermentazione
del 1876 spianano la strada alla comprensione dell’azione del lievito e a
quella dei batteri responsabili dei problemi che portano al cattivo gusto. I
risultati delle sue ricerche spingono le birrerie ad equipaggiarsi di un
laboratorio e nel 1883 Emil Hansen
della danese Carlsberg sviluppa la tecnica
per isolare un’unica cellula di
lievito che permetterà finalmente
si birrai di esercitare un controllo totale sulle birre che produce.
il XX° secolo
La
birreria diventa un’impresa industriale che deve affrontare una concorrenza
sempre più feroce e deve migliorare la sua produttività mantenendo prezzi
bassi. L’evoluzione dei mezzi di comunicazione e dei trasporti favoriscono gli
spostamenti delle birre e di conseguenza il loro confronto.
Si sviluppano pertanto dei “giganti” dell’industria birraria prima negli Stati Uniti poi via via in tutto il mondo provocando la diminuzione in caduta verticale delle piccole birrerie. Alla fine del XIX° secolo se ne contavano più di 3.000 in Belgio e più di 2.000 negli Stati Uniti, mentre meno di cent’anni dopo il loro numero era vertiginosamente sceso a poco più di un centinaio in Belgio e a qualche dozzina negli Stati Uniti.
la birra-alimento diventa bevanda dissetante
camion Mitchells and Butler,inizio anni 60 (
Bass Museum, Burton on Trent )
I mezzi di comunicazione permettono alla birra di viaggiare sempre più lontano ma favoriscono subito dopo lo sviluppo di un marketing di massa. Le indagini di mercato dimostrano alle birrerie che “meno la birra è amara più si vende”. Questi studi rispondono ai loro bisogni capitalistici : se per esempio risulta che il 75% prova repulsione per le birre amare, la birreria diminuisce l’amaro in tutta la sua gamma di birre senza tener conto del restante 25% dei suoi clienti. Se poi, in fase successiva, afferma nelle sue campagne pubblicitarie che è migliore perchè meno amara, ha contribuito a offrire un’informazione parziale alla popolazione che rischia di identificare l’amaro con un difetto. Assistiamo così ad un appiattimento delle birre e all’impoverimento delle attitudini sensoriali della popolazione. Il fenomeno trova il suo apogeo nel Nord America all’inizio degli anni 60 con la scomparsa della maggioranza delle birre “speciali”. Ma per fortuna questa regressione nel gusto ha i suoi limiti.
la birra di degustazione
il primo bicchiere da degustazione, inventato nel 1970 dalla fiamminga birreria Moortgat
Infatti
all’inizio degli anni 80 assistiamo
a un vero e proprio “rinascimento”
della birra “di gusto”. Questo fenomeno assolutamente originale non ha
attinenza col passato in quanto, prima dell’industrializzazione non si parlava
dell’esistenza di una cultura birraria. La pubblicazione di opere sulla degustazione
è nuova, la gastronomia alla birra
è nuova, i locali specializzati sono
nuovi e i primi musei della birra non
hanno ancora vent’anni.
Museo Europeo della Birra di Stenay (Francia)
Gli elementi che spiegano questo fenomeno recente sono molteplici: il turismo, l’interesse degli appassionati, il posizionamento sul mercato delle piccole e medie industrie birrarie, la formazione di gruppi di interesse e, non ultima, la filosofia del “piccolo è bello”.
appendice:
la birra in Italia
Viene
attribuito agli Etruschi il merito di aver portato in Italia l’orzo,
l’ingrediente fondamentale per la preparazione della birra. Ben presto
nell’Antica Roma e in tutto l’impero romano si cominciò a consumare
abitualmente birra anche se veniva considerata una bevanda “pagana e plebea”
al confronto del “divino e nobile” vino. Nell’anno 87 d.C., Tacito,
infatti, parla della birra dei Germani paragonandola al “vinus corruptus”
cioè andato a male! Non la pensava
così suo suocero, Agricola, che portò tre mastri birrai da Glevum,
l’odierna Gloucester ed aprì a Roma nella sua villa, una birreria privata.
Augusto esentò la classe medica dalle tasse perché Musa, il suo medico,
l’aveva guarito dal mal di fegato ricorrendo alla “cervisia”. La birra fu,
in seguito, una delle vittime delle invasioni barbariche che distrussero gli
impianti di produzione, sia pure artigianali, delle città. Del periodo
medievale, si ricordano solo degli episodi isolati legati alla vita monastica.
Tra il 529 e il 543, manoscritti riportano che mentre San Benedetto da Norcia
era presso l’Abbazia di Montecassino, nel Lazio, si produceva birra e questa
è la prima birra d’Abbazia Italiana e forse del mondo. Nel 600 d.C. il futuro
San Colombano, monaco di origine irlandese, fonda l’Abbazia di Bobbio, nel
piacentino, e tra il 612 e il 613 fa miracoli con la birra. La ripresa non
avviene in Italia nei secoli seguenti per l’influenza determinante del clima e
delle credenze religiose. Infatti come cattolici vediamo nel vino la bevanda
sacra, benedetta nell’ultima cena, e nella birra il simbolo del paganesimo delle genti del Nord.
Il ritorno della birra nel nostro paese non avviene sotto buoni segni, portata infatti dai famigerati lanzichenecchi che saccheggiano Roma nel 1527. Lo storico Massimo Alberini ci riferisce che uno dei loro capi, Giorgio von Frundesberg, si faceva seguire, anche in battaglia, da un cavallo che trasportava due barilotti di birra. Anche durante i moti risorgimentali si evidenziano le differenze di mentalità tra gli oppressi bevitori di vino e gli oppressori austriaci bevitori di birra. Ma nulla poteva ormai arrestare, anche nel nostro paese, la popolarità che questa fresca, dissetante e socializzante bevanda ha saputo conquistare in ogni parte del pianeta.Dobbiamo arrivare alla metà del secolo diciannovesimo perché finalmente anche in Italia sorgano le prime vere e proprie fabbriche, tutte a carattere artigianale.
La prima brasserie italiana è la Spluga di Chiavenna
che inizia la sua attività nel 1840, seguita subito da quelle formate da
lungimiranti imprenditori austriaci che volevano entrare in un mercato nuovo,
come Wurher, Dreher, Paskowski, Metzger, Caratch, Von Wunster imitati ben presto
da commercianti italiani, come Peroni e Menabrea. Dopo varie vicissitudini
collegate alle due guerre mondiali e alle sempre più alte tassazioni, si è
giunti ai giorni nostri all’inevitabile concentrazione di grossi e
potentissimi raggruppamenti internazionali che hanno rapidamente portato
all’acquisizione delle piccole fabbriche, facili prede, vittime di
irreversibili crisi.
Il
consumo di birra in Italia per il 1999 è salito alla cifra record di circa
15,555 milioni di ettolitri. La produzione interna è salita a circa 12,137
milioni di ettolitri. Salgono lievemente anche l’import fino a 3,841 milioni
di ettolitri e l’export fino a 0,423 milioni di ettolitri. Il consumo
pro-capite rimane costante intorno ai 27 litri. Questi aridi numeri parlano
chiaro e sembrano incoraggianti se teniamo in considerazione solo il parametro
della quantità. Ma se consideriamo la qualità,
la realtà è ben diversa e lo sanno bene tutti coloro che si battono, ognuno
nel proprio campo di competenza, per poter in un immediato futuro intraprendere
il cammino l’avventura degli americani, protagonisti
di una straordinaria e ben nota “renaissance”.
fonti bibliografiche : Mario D'Eer La Bière Ed. Trècarré/BièreMAG